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La vedova decaduta, con le mani pallide e fini fuor dello scialle nero toccava e divideva ogni cosa; e i suoi occhi avevano la melanconia di quelli del capretto morto. Le provviste erano abbondanti, ma guardando intorno per la cucina in cerca delle padelle e delle pentole, ella vide solo le ciclopiche ma inutili casseruole di rame; mancavano i recipienti moderni, per fare il dolce, per cuocere e servire intatti a tavola i carciofi e il pesce.

— Porterò io quello che manca, — disse con la sua voce piana, — ho ancora tutto.

— È suocera mia che vuole le cose all’antica, — disse Nina per scusarsi.

Intanto Mikedda era scesa, lunga verdolina e profumata come uno stelo d’avena; e dietro di lei Gavino che cominciò a far rotolare le uova sulla tavola, finchè uno ne cadde spaccandosi e sciogliendosi per terra come un frutto troppo maturo.

— Si capisce, dove passi tu passa la rovina.

Gavino s’era chinato e sorrideva all’uovo rotto, guardandolo come una meraviglia.

— Potevano caderne due, mamma!

— E tu, Mikedda, che fai? Ti chini tu pure a guardare un uovo rotto, mentre ti si aspetta per rivolgerti una domanda di matrimonio?