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— Nuora mia è andata a messa, le ragazze son di là. C’è Gavino.

Gavino scriveva il suo compito di scuola con un ginocchio sulla sedia e gli occhi di qua e di là a seguire un moscone agitato tra il vetro e lo sportello: nel sentire la voce di zio Taneddu si precipitò all’uscio e guardò malizioso. La sua presenza rallegrò, ma imbarazzò il pretendente: eppure si guardarono, Gavino e lui, come due vecchi amici che si fossero confidata ogni cosa.

La nonna agitò la canna per mandar via il ragazzo; allora il contadino si accomodò la berretta e disse:

— Padrona mia, io vengo a domandarle in sua coscienza informazioni di Mikedda.

La vecchia padrona era quasi allegra, quella mattina: sentiva anche lei l’aria della festa e aveva voglia di scherzare.

— La vuoi forse prendere al tuo servizio?

— E può essere anche, se lei me la cede!

— Io, per me, te la cedo. Ma lei, quella mocciolosa, vuol venire?

— E può essere anche, padrona mia!

— E allora le informazioni, poichè ti rivolgi alla mia coscienza, son queste. La ragazza è ragazza: astuta e innocente nello