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— Va dalla padrona Agostina; se lei dice che è bene è bene.

Ed egli andò dalla padrona Agostina; prima però si assicurò che il brevissimo tratto di strada era deserto: solo in fondo, nel sole del crocevia, si vedevano passar fiammeggiando figure di donne vestite a nuovo che andavano a messa. Taceva il suono dell’incudine del fabbro, laggiù, e la porta del ciabattino era chiusa. Sul portone massiccio dei padroni, il contadino vide una figura disegnata col gesso, con un uovo per testa e due zampe di gallo; si fermò ad ammirarla, poichè la sapeva opera di Gavino e gli sembrò anzi che rassomigliasse un po’ a lui. Poi entrò.

Il cortile era deserto, pieno di sole; la vite spiegava già intorno ai due pilastri del portichetto le sue foglie di oro argentato; giù in fondo, attraverso la porta della cucina e l’uscio della camera spalancati, la padrona Agostina, sulla sua scranna davanti al camino ancora acceso, pareva l’immagine dell’inverno ritiratosi in una grotta.

Il contadino andò dritto a lei, sedette a un cenno della canna, aprì bene le gambe con le brache nuove gonfie come palloni.

— Sola l’hanno lasciata, padrona!