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lasciava sfuggire un solo dei loro gesti, pure tentando continuamente di convincersi che le parole di Juanniccu erano state parole d’ubriaco.

Tutto però le dava sospetto, e specialmente l’indifferenza ostentata fra Stefano e Nina.

Stefano veniva sempre alla stessa ora: arrivava fino al portone col suo passo calmo, col sigaro acceso che si toglieva di bocca e spegneva prima d’entrare: spesso aveva in mano un fascicolo di carte d’affari con la copertina arancione piegato in due e lo deponeva su una mensola in alto nell’angolo della stanza senza mai dimenticarsi di riprenderlo prima d’andarsene.

Portava giornali e libri ad Annarosa e a Gavino, e se questo era in casa lo attirava a sè e parlava e rideva con lui. Alla nonna raccontava gli avvenimenti del paese.

Il tempo, dopo Pasqua, si fece bello; sereno e calmo. Stefano arrivò un giorno senza soprabito, e apparve, nell’entrare, più svelto e più giovine. La nonna pensò che era primavera, che anche alle pecore si toglie la veste di lana, che anche lei era stata giovane e viva. Si volse e attraverso la porta aperta sul cortile vide la vite che