Pagina:Deledda - L'argine, Milano, Treves, 1934.djvu/92


— 82 —

ghesi, che si scaldano allo stesso fuoco. Egli dice:

— Dopo tutto, la vera ricchezza è questa; non le pare? Lo stesso vecchio Paolo, col quale mi sono fermato un momento, giù nel campo dove egli finisce di piantare le sue patate, simili alle nocche delle sue dita, confessa di essere contento. Peccato che lei sia venuto qui a turbare la pace di questa brava gente.

Parlava sul serio? Non so: certo, egli fissava la fiamma con occhi un po’ incantati: si era tolto un guanto, e lo sbatteva per ravvivare meglio il fuoco; e in quel momento un anello con un brillante, che egli teneva al dito medio della mano destra, scintillava come il cerchio d’oro dell’orizzonte estivo col sole al tramonto.

Tentai di contraddirlo, per difendermi.

— Non creda. Paolone, come io lo chiamo, ha pure lui i suoi guai. Può essere contento della semina delle patate, ma questo non basta per guarire il suo intimo tormento: e forse gli farà bene lo snidarlo da questa sua catapecchia.

L’altro non protesta: pare ignori il dramma del mio vecchio padrone di casa: tuttavia prosegue, per conto suo:

— Ad ogni modo, la vita semplice è la migliore di tutte, anche perché è la più igienica e indipendente. Bisogna essere o molto ricchi, e nuotare davvero in questa ricchezza come un