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studiato fino al terzo anno di lettere, e di tanto in tanto fa lunghi soggiorni a Firenze o a Roma, con la scusa di finire i suoi studî e laurearsi: ma non fa altro che mangiarsi il poco patrimonio che gli rimane, e quando è a corto di denari torna al paese natio. Lo hanno eletto podestà contro il suo volere, – dice lui, – e compie le sue mansioni con una indifferenza che sembra diplomatica e che gli conferisce una dignità straordinaria, agli occhi dei suoi dipendenti. Del resto c’è poco da fare, in questo luogo tranquillo, dove tutti lavorano tenacemente e sono di una sobrietà per non dire avarizia, tradizionale e atavica. Mai un delitto, mai una vicenda contro la legge, mai un furto che non sia appunto legale. Lui solo, con la sua vita alquanto irregolare, fa eccezione. Ma non è nato precisamente qui: il padre era un contadino emigrato in Francia, dove sposò una donna, dicono alcuni, di cattivi costumi: fecero fortuna, e, dopo la morte della moglie, l’uomo, col bambino nato da lei, tornò in paese.

La casa del podestà è, dopo la villa della povera morta, la più bella dei dintorni: e poichè alle undici del mattino egli non era ancora al suo posto, nella casaccia sgangherata dove ha sede il Municipio, ho avuto l’idea di andare a trovarlo nel suo nido. Veramente nido, poichè la villetta si sporge, al riparo di una china pian-