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addossato ai muri del pianterreno i tronchi, i detriti, la sabbia, la ghiaia e il fango portati dalla corrente, in modo che il piano sovrastante è ormai al sicuro del pericolo; così l’abitazione ha l’aria di un piccolo fortilizio preistorico, con una scaletta esterna, di assi e di pietre, una porticina verso occidente, le finestruole alte con sportelli tutti di un pezzo.

Le camere sono due, e guardano a oriente, verso la fiumana, che adesso è calma e lambisce appena il campo del mio padrone: la cucina, grandissima, serve di ingresso, di dispensa, di legnaia, e anche, all’occasione, per dormirci: c’è un camino che sembra una grotta, col fuoco sempre acceso. Ghirlande di cipolle violette, di piccoli pomidori che sembrano imbalsamati, di salsiccie nere, decorano il soffitto, e l’antica madia graffita nasconde la farina come un tesoro inestimabile.

In una delle camere abito io: e non mi manca nulla di quello che può bisognare a un eremita di lusso: coperte di lana, tavola per scrivere, lenzuola con enormi cifre rosse, e l’asciugamano casalingo che graffia il viso come un gatto carezzevole. Il soppedaneo me lo sono dovuto comprare io; perchè quello che c’era non mi convinceva (prima di me c’è stato un altro inquilino); l’ho trovato nel bazar del paese; è una specie di aiuola di lana verde con un bordo