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festi cinematografici: l’altro, al quale essi facevano da sfondo, era di media statura, distinto come un piccolo borghese elegante. Aveva intorno al collo, sotto il bavero del soprabito, un fazzoletto di seta scozzese, il cui colore incrociato di marrone e di azzurro scuro, rendeva più chiaro il pallore del viso fine, quasi fragile. Dolci, castanei erano gli occhi; ma egli corrugava le folte sopracciglia nere per indurirne l’espressione: e pareva sporgesse le labbra sottili e il mento quadrato per accrescersi importanza. Ma quello che più colpì Noemi, fin dal primo sguardo, fu l’impressione di aver veduto altre volte quel viso, e sopra tutto quegli occhi. Dove? Quando? Non poteva, in quell’attimo, frugare nella sua memoria, eppure un baleno di luce le rischiarò il sangue: le parve che quell’uomo, venuto a lei in armatura nemica, dovesse invece recarle aiuto.

Domanda egli, con voce mascherata:

– La signora Noemi Davila?

Risponde lei, con voce severa.

– Sono io.

– Ho l’incarico di parlarle.

– Si accomodino.

Entrano, i tre: egli con passo per natura lieve e signorile, gli agenti quasi intimiditi e paurosi di scivolare sul pavimento. Ella chiude la porta col catenaccio.