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sa che questo era inevitabile, e comincia ad irritarsi, non per la volontaria assenza della ragazza, ma perché sente di essere burlata da lei.

Sporgendosi però dalla finestra, vide giù nella strada uno spettacolo al quale non solo la sua ma numerose altre servotte, – teste lucide di uccelli spensierati, collane di tutti i colori, baveri di coniglio e agili gambe tutte ben calzate a spese dei padroni, – assistevano come ammaliate da un prestigiatore: e dietro di esse, per azione naturale, una siepe di giovinotti sfaccendati e di ragazzini con le faccie solcate da smorfie e sberleffi di tutti i generi.

In mezzo al gruppo sfolgorava una testa di donna, una Venere tra cittadina e campagnola, coi lunghi capelli d’oro ondeggianti sul busto rivestito di seta azzurra; un giovane in camice bianco da parrucchiere, coi capelli anch’essi fulgidi di brillantina, pettinava e lisciava con la mano che sembrava di sapone candido, questa chioma di fata; pareva, anzi, s’indugiasse ad accarezzarla come quella di un’amante: arrivato in fondo ne attorcigliava l’estremo ciuffo intorno ad una specie di pernio di celluloide, a molla: e su e su, l’avvolgeva in un rotolo, fin sopra la nuca; finché la molla scattava, fermando a semicerchio i bei capelli di seta, fra l’uno e l’altro dei due grandi riccioli ricadenti sulle orecchie della leggiadra testa.