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Il visitatore, che si era abbandonato su una sedia, piegandosi per una invincibile stanchezza, anzi per un malessere che gli contraeva i lineamenti, appena vide la donna balzò su, come elettrizzato, e tentò di ricomporsi in viso. Era un viso quasi brutto con la grande fronte sporgente che premeva sul naso corto e la bocca sensuale; il tutto di un colore bronzeo, in quel momento ancora più illividito da un corruccio profondo. Ed anche il suo corpo era sproporzionato, troppo alto e grosso per le mani e i piedi d’una piccolezza quasi ridicola: le spalle curve pareva spingessero in avanti l’addome, quasi di persona anziana; ma gli occhi turchini ingranditi dall’arco delle sopracciglia nere, avevano un fulgore interno, di bontà, di sogno, che non si smentiva neppure in quel momento, anzi smentiva l’agitazione cattiva del viso, e imploravano aiuto alla donna.

Ella però lo accolse fermamente e apertamente ostile, con la sua persona dura e grigia di pietra, le mani inerti, gli occhi col riflesso gelido di quel cielo invernale.

– Mettiti a sedere, – dice; e quel tu, quell’invito, sono più inospitali di un’accoglienza scortese.

Egli si rimette a sedere, chinando la testa fin