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mattino: mattino bello, davvero festivo, col sole già ardente ma l’aria fresca, con un sapore di gelato alle fragole. E fragole infatti si vedevano, d’un rosso ombroso di bosco, fra l’oro scialbo delle banane e il roseo pallore delle prime ciliegie, in qualche mostra di fruttivendolo, nella larga strada nuova tutta chiara di marciapiedi intatti e di facciate di palazzi ancora odorose di calce e di smalto.

Ella si fermò a guardare un mazzo violaceo di asparagi, e, sopra tutto, un cestino di funghi neri: ricorda le scorribande nel bosco dei carbonari, con la serva-madre; e non era gioia, la sua, anzi dolore, quasi paura: ma, nello stesso tempo, respiro di fanciullezza, di ansia, di mistero.

Avanti, avanti, signora Noemi: suonava il terzo tocco della messa, e se pareva anch’esso venire dall’antico santuario della foresta, incitava alla corsa di un posticino nei banchi della chiesetta del quartiere, troppo piccola per i già numerosi fedeli.

Eppure, sì, il ricordo fisico delle antiche scorribande la accompagnava: ancora il suo corpo era acerbo, tutto ossa, liberato dall’ombra della casa umida del villaggio: sì, e l’inverno, il passato, il rimorso, i vani ricordi, la cenere delle lettere di «quel disgraziato», lo stesso ritratto del marito-sentinella funebre, tutto era rima-