Pagina:Deledda - L'argine, Milano, Treves, 1934.djvu/201


— 191 —

mi ha fatto educare come una signora; fui per molti anni al convento, con la signorina Decobra; sì, con lei che era ricchissima e nobile. E ci si trattava in modo eguale. Dormivamo vicine, nel reparto delle educande aristocratiche; ci si insegnava a suonare, a dipingere, a parlare il francese come fossimo due sorelle. Lei però mi trattava e guardava fredda, perché era fredda con tutti: a volte mi umiliava, anche, mi diceva che ero una stupida, una contadina, e che aveva voglia di battermi. Una volta mi graffiò a sangue. Arrivava a peggio; quando aveva i nervi: mi chiamava «figlia di prete»; mi faceva piangere. Ed io non solo non osavo accusarla, ma ero più contenta dei maltrattamenti che della sua indifferenza. Le volevo bene; un bene quasi morboso: ero come innamorata di lei; e più era cattiva e sdegnosa, più le volevo bene. È il mio carattere, questo, pur troppo. Ma col passare del tempo, con l’abitudine di stare assieme, anche lei si placò: non che mi volesse bene, ma aveva bisogno della mia compagnia, e di farmi le sue confidenze: e queste confidenze, specialmente dopo che ella tornava dalle vacanze, dopo essere stata con la madre al mare o in montagna, diventavano sempre più maliziose e intime. Fu lei, devo dirlo, senza offendere la sua memoria, a insegnarmi le cose dell’amore: come, del resto, avviene