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prodigava nel suo lavoro con tutta l’esuberanza del suo bel corpo di giovane tigre grassa; sbatteva i tappeti con gioia di crudeltà, parlando con loro come con nemici frustati: «Prenditi questa, bello: prenditi quest’altra, se non sei contento»; e saltava con un solo piede sulle sedie, per arrivare a togliere la polvere sopra gli armadi: ma anche lì erano bòtte, con lo strofinaccio, e schiaffi, e parolacce se questo si permetteva di attaccarsi dispettoso agli spigoli: e la peggio toccava al piumino da spolverare che usciva dalle sue mani come un uccello spennacchiato.

D’un tratto però si ferma, mentre, nel silenzio improvviso, il suono del campanello della porta d’ingresso, squassa come un grido allarmante la quiete della casa. E quasi davvero minacciata da un grave pericolo, la signora Noemi si chiude dentro la cucina, spingendone d’impeto l’uscio: ma Pierina lo riapre con garbo, e tutta felice di schietta malignità, annunzia:

– C’è il signor ingegnere Franci.

Noemi ha già capito che è lui, tuttavia ne prova un senso di sorpresa, di gioia, di malessere ed anche, sì, di paura.

– A quest’ora? – dice, più a sé stessa che alla ragazza. – Che vuole? Digli che sono uscita, – aggiunge sottovoce.

– Eh, il signor ingegnere sa benissimo che lei è in casa.