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perché anche lui, l’appassionato don Achille, esulti in ogni fibra e ringiovanisca miracolosamente. Più che i suoi scartafacci m’interessava questo suo vibrare quasi fisico; le guancie un po’ scavate, segno di una razza che del dolore e le difficoltà della vita si è fatta una legge, mi ricordavano quelle di Agar: ed anche la linea della bocca: e mi pareva di sentire che anche lui era preso dall’incantesimo della stagione, della bella giornata, della gioia di vivere. Tanto che quando io, profittando di lui come uno sfruttatore, gli dissi:
— Don Achille, andiamo nell’orto, adesso? — egli mi guardò con gli occhi di un fanciullo che ha trovato un compagno col quale fare una scorribanda campestre.
Andiamo dunque nell’orto: ed egli, a differenza del malizioso padre Leone, mi fa attraversare confidenzialmente l’andito e la cucina dalla quale si esce nel cortile, e da questo, per un cancelletto di canne, nell’orto.
La cucina, dove speravo di ritrovare Agar, è deserta: il fuoco arde solitario nel camino, ma il resto dell’ambiente mi procura una nuova delusione: poiché osservo un grande disordine, ed anche una scarsa pulizia negli arnesi, negli og-