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che tu non sei capace di amare; e neppure carità o pietà, perché questi sentimenti non farebbero che accrescere il mio male: eppure aspetto ancora: è come la speranza di un miracolo o come il sogno di un infermo, che è certo di guarire se potrà recarsi in pellegrinaggio a qualche luogo santo.
E infermo lo sono, certo, di carne e di spirito, ma non dispero di sollevarmi. Non sono più tornato alla parrocchia: so d’altronde che don Achille è guarito e frate Leone se ne sta, quindi, nei suoi conventi. Per darmi l’aria di fare qualche cosa, vado a cercare l’ingegnere del Genio Civile, nella cittadina qui sotto, dove le colline si distendono in pianura: pulita e solida, cittadina storica, che a guardarla dall’alto della strada pittoresca, sembra un cortile antico, con la fontana in mezzo, circondato di portici sopra le cui loggie si elevano bassi fabbricati neri; il Municipio di fronte alla chiesa e al vescovado, due porte ad arco, una di fronte all’altra, e alle cui soglie si fermano, con riverenza e omaggio, i rami dello stradone provinciale. La popolazione rurale abita nelle casette in parte nuove, tutte colorate, lungo questo stradone, che scende dai monti e conduce al mare: vaste aie, vigne e seminati, distese coltivate a barbabietole e tabacco, orti e frutteti arricchiscono questa felice contrada; e, in fondo, verso il mare, i quadrati delle