Pagina:Deledda - L'argine, Milano, Treves, 1934.djvu/169


— 159 —

biamo avvicinati a noi, alla luce divina della religione cristiana.

Di nuovo egli riprende a raccontare episodi e avventure di missionari, nelle regioni infestate dai selvaggi, e peggio ancora, al dire di lui, dai pagani fanatici, più feroci degli antropofagi: sono indubbiamente racconti straordinarî, ai quali per un po’ si dà attenzione; ma a lungo andare vengono a noia: infatti Agar, che è quella fra di noi la più sincera, d’improvviso sbadiglia come un gatto, volgendosi però a guardare se lo zio protesta, e per farsi perdonare lascia cadere queste parole strabilianti:

— Sì, c’era il signor Antioco, il podestà, che voleva farsi Missionario.

Una risata mia e di padre Leone, che pare una grandinata, accoglie questa notizia, mentre don Achille, nel suo lettuccio verginale, solleva gli occhi al soffitto, con uno sguardo fra di misericordia e di speranza: speranza, si capisce, nella conversione totale degli uomini alla legge di Dio: ma il suo segreto giudizio circa i sentimenti e le intenzioni del mio amico Antioco è forse più inesorabile del nostro. Padre Leone, intanto, dopo il primo impeto d’ilarità, torna a rabbuiarsi e domanda ad Agar:

— E chi l’ha detta, a te, questa panzana?

— Rosa. E non l’ha sentita dalla figlia, ma