Pagina:Deledda - L'argine, Milano, Treves, 1934.djvu/155


— 145 —

andiamo, la lunga suora davanti, io dietro; la scala per salire al piano superiore si fa più ripida, e la finestra dell’ultimo pianerottolo, chiusa con un lucchetto, ha un chiarore lunare.

— È chiusa in questo modo, — spiega la suora, — per impedire alle ragazze di affacciarsi. Ci sono testoline matte, fra di loro.

Anche di queste parole ella si pente subito due pieghe profonde le solcano il viso, di nuovo le palpebre si abbassano; e quasi di corsa mi precede fino al corridoio sul quale si aprono gli usci dai quali vien fuori, rinforzata, la voce del fiume.

— Questa è la sala da lavoro, e questa è la stanza del telaio.

Il grande telaio con una tela grezza a metà distesa fra i suoi ormeggi, non mi interessa gran che; e neppure la sala da lavoro, con una tavola ingombra di carte, disegni da ricamo, modelli di vestiti: mi colpisce di più un salottino attiguo, con un piccolo pianoforte che sembra una pianola e un cavalletto con una tela ingenuamente disegnata.

Torna a commuovermi il dormitorio, veramente spazioso e arioso, diviso da un arco con una tenda che si gonfia come una vela, per l’aria che corre da una finestra all’altra.

Il luogo è confortevole; un’oasi del tetro convento. Dalla vôlta candida pendono tre lam-