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Il caffè era squisito; e c’erano anche, in un cestellino di metallo, certi dolci che sembravano frutta candite.

— Tutto fatto dalle buone sorelle, — disse la Madre, rallegrandosi per il caffè. — Sono brave in tutto: cavano il filo persino dalle ortiche. Fanno il pane, le ostie, tessono, rattoppano le scarpe; si sono messe persino a fare da muratore, con le loro manine di cera; ma ci vuol altro. Prenda, prenda un altro amaretto, signor... signor...

— Conte Franci, — aiuta padre Leone, con la massima deferenza: anzi pare che il mio titolo gli riempia di molle dolcezza la bocca, come questi dolci che hanno un sapore quasi voluttuoso.

Al sentire il mio nome, anche la scialba suora che tiene in mano il vassoio con atto supplice e umile, si accende tutta; ma subito abbassa le palpebre e il suo viso ridiventa d’avorio: però, quando la Madre, dopo aver di nuovo enumerato tutti i bisogni e le virtù del Convento e della Comunità, la prega di condurmi a visitare i dormitori e la sala di lavoro (le aule no, poiché è l’ora delle lezioni), mi accorgo che ella ha una lievissima vibrazione fra di sorpresa, di sdegno, di piacere. Andiamo dunque, mentre il Padre e la Madre, di perfetta intesa fra di loro, confabulano su certi affari di amministrazione: