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E poi mi annoio, in compagnia di questi uomini di chiesa, che mascherano in modo abilissimo la loro umanità. Padre Leone comincia a raccontare la storia del convento, e quella della parrocchia, un tempo uniti dallo stesso ordine e dai medesimi interessi: poi mi spiega perché lui ha dovuto accettare l’incarico di cappellano delle Suore, ma, intelligente e furbo com’è, si accorge che io non m’interesso a questi discorsi, e cambia argomento. Parla dei suoi viaggi, delle sue missioni: è arrivato fino al Congo, fino all’Estremo Oriente; molte avventure ha avuto: ma visto che neppure questo mi commuove, si agita per la camera, costringe don Achille a ingoiare la medicina, e infine, aperto d’un colpo l’uscio di comunicazione, con voce padronale che rimbomba nella solitudine della casa, chiama due volte:

— Rina? Rina?

— Dove si è ficcata quella scimmia, — dice poi, senza più alcun riguardo, e balza nella camera attigua, facendo scricchiolare i pavimenti di legno, mentre don Achille sospira, con un viso di martire, ed io capisco che l’invasione del vivace confratello, nella quiete profonda della parrocchia, deve essere per lui una sofferenza più molesta del suo raffreddore.

Non oso confortarlo; non vedo l’ora di andarmene: anche l’idea di dover rivedere la pic-