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la camicia di forza, per portarsi via al convento la signoria vostra.
— A far che?
— A far che? A far che? A farle vedere in che stato miserando è quel luogo sacro.
Io mi metto a ridere, di cuore, mentre padre Leone, per nulla mortificato, anzi tutto lieto e scintillante al riflesso della finestrina, si stropiccia le mani.
— Ma se lo conduco al convento, vuol dire che lei, don Achille, rimane qui solo, libero di alzarsi e buscarsi una bella polmonite.
E ride anche lui; ma non rido più io: anzi, quella luce tranquilla e vivida di crepuscolo già primaverile mi richiama a tutte le mie inquietudini.
Sarà la fede, l’amore alle cose sacre, anche lo spirito del dovere, che spinge i due bravi uomini di Dio a contendersi il mio aiuto, finanziario, s’intende, più che morale; ad ogni modo si nasconde, in fondo, sempre il calcolo umano, forse personale; e ciò mi disgusta. Meglio lottare contro l’ostilità dei contadini, e sopra tutto contro le forze ingiuste della natura: il mio pensiero dominante è la costruzione dell’argine, anche perché questa era la prima volontà di lei.