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è venuto il nostro cappellano, quello del convento, e la messa l’ha detta lui.

Un’altra pausa. Ella si guarda attorno, con quell’istintiva curiosità dei bambini, ed anche di certi uccelli, attirata da ogni particolare: la sua bocca, infantile davvero, rimane aperta, e ci si vedono i denti bianchi e le gengive di corallo rosa.

— Speriamo sia niente, — dico io.

— Che cosa?

— Il malessere del suo signor zio.

Ella fa tre volte — oh, oh, oh, — come se io avessi pronunziato parole straordinarie; poi di nuovo ricorda la lezione:

— Mio zio voleva venire anche per dirle che il nostro cappellano, padre Leone, dei minori osservanti, desidera conoscerla.

Domando notizie di questo padre: ella si fa rossa, beffarda e maligna: si frena, però, e dice:

— Padre Leone è il cappellano delle nostre Suore: vive coi suoi fratelli, nel convento di San Francesco di Castellaccio, ma è sempre da queste parti. È un omone rosso, un vero leone, — ella si corregge subito, – un leone santo. Noi lo chiamiamo «pecora di Dio».

— Va bene, — approvo io; — ma non saprebbe per caso, lei, signorina, perché padre Leone mi vuol conoscere?