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che sembrano di tamerici, mi conduce in giro: di tanto in tanto si piega e si fa il segno della croce; poi si erge, dritto, e quasi si allunga spiegandomi sottovoce i misteri della chiesa. Non voglio annoiarti col ripetere la lunga storia di questa che un tempo fu una importante Basilica, poi rudero, poi tempio monumentale, e adesso è una povera parrocchia priva persino di battistero, poiché la cappella che nel primo restauro fu appositamente costruita per questo, è del tutto scomparsa.

— Ma quello che più mi addolora, — dice don Achille, quasi gemendo, — è questo.

Egli s’è piegato e segnato e poi drizzato rigidissimo, davanti a una parete dell’abside, dove pende un piccolo quadro che attesta il gusto del parroco: è una copia grezza, su legno, di una Madonna di Giotto.

— È molto bene eseguita, dico io, con sincerità — egli però non mi lascia proseguire: stacca il quadro, e sotto vi appare, in un pezzo scrostato d’intonaco, una meravigliosa testa di Bambino, che ha tutti i tratti caratteristici dei putti bruni, grassocci e imbronciati del paese: segno che l’antico pittore prese a modelli del suo affresco gli abitanti del luogo. Don Achille riattacca subito il quadro, quasi diffidi anche di me, e spiega come un giorno, facendo da sé la pulizia della chiesa, poiché egli è il solo prete del