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piuttosto, dei convegni notturni e appassionati della bella Agar. Per quanto scruti, avvicinandomi anche ad una finestrina inferriata del piano terreno, dalla quale intravedo una stanza con solo una tavola e alcuni arnesi per la manipolazione del pane casalingo, non riesco a vedere e neppure ad immaginarmi questa fatale principessa delle notti paesane.
Don Achille, ricomparso d’improvviso sulla porta che si è aperta come da sé, mi sorprende nel mio atteggiamento di spionaggio, e mi pare che aggrotti le selvagge sopracciglia grigie: ho l’impressione che egli non sia, a proposito della nipote, così cieco e balordo come lo fanno passare: egli vigila, almeno durante il giorno, e tiene lontana dalle tentazioni la trepida colomba, specialmente in giornate amorose e turgide di inviti come quella di oggi.
Con moto furtivo, se non religioso, entro nella chiesa ancora tiepida dell’alito e del cattivo odore dei fedeli che hanno assistito alla messa mattutina: il profumo dell’incenso e il suo ultimo fumigare premono alle finestre, come desiderosi anch’essi di uscire e fondersi con la pura atmosfera esterna. Il prete, che ha una curiosa testa a cono, coperta di cespuglietti grigi