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è malato. C’era un vecchio usciere, con quattro lunghi peli di baffi, e teneva fra le mani un oggetto misterioso. Guardandolo io quasi con sospetto, egli si mise a ridere, con una smorfia simile appunto a quella dei gatti quando sbadigliano; e aperte le palme mi fece vedere una scatoletta di legno: era una tabacchiera. E tutto ha odore di tabacco vecchio, di fumo, di polvere e di muffa in questa casa cadente, che dovrebbe essere la prima a riattarsi. Torno al mio ufficio, e seggo davanti al tavolino che ha pretese di scrittoio: aspetto che qualcuno venga a cercarmi, a farmi qualche proposta (del resto inutile finché non arriva l’approvazione del Ministero).

Oggi, però, tutto quello che posso attendere dall’esterno mi delude; la stessa bellezza della giornata pare mi lusinghi per poi tradirmi: allora fuggo, come un topo, da questa polverosa trappola d’ufficio, e mi fermo in mezzo alla piazza, indeciso se andare avanti o indietro. Tutti mi sbirciano, con prudente curiosità; il farmacista dall’interno della sua lucida scatola dove un raggio di sole arriva fino alle boccie di cristallo verdi e rosse come piene di assenzio e di sangue; la postina gobba e la sua bella assistente bionda ossigenata, il pizzicagnolo grasso e pesante come imbottito delle cose che vende. Le ragazze che vanno a fare la spesa s’incrociano