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suono di un flauto: s’alzava e si abbassava in archi scuri eppure lucenti, che aprivano come le porte misteriose di un palazzo incantato: là dentro c’era Francesca, che lo chiamava, che lo voleva, che sarebbe morta se egli tardava a raggiungerla. Coperto di un sudore di tormento e di gioia, strisciò fuori della capanna e andò giù, fino alle rovine. Gli pareva di attraversare a guado il fiume: realmente sentiva i piedi bagnati di rugiada, e muoveva le braccia come dividendo la luce equorea della luna.

D’un tratto però si fermò e si scosse: pareva un sonnambulo che si desta con paura. Era la realtà, che gli faceva paura. Poiché la voce dell’usignuolo sul sovero, adesso pareva lo irridesse e lo richiamasse indietro.

Tornò indietro; raccolse alcuni sassi e li lanciò con l’abilità di un fromboliere contro il sovero: l’usignuolo tacque; ed egli si mise a piangere.

Mai aveva pianto così; neppure al momento di uccidersi: e le lagrime calmarono il suo spasimo, con voluttà angosciosa, come se egli avesse posseduto in sogno Francesca.

Allora cominciò ad aspettarla, deciso