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so, fra gruppi di domestiche dallo sguardo carezzevole e di bimbe che parlavano di mode e sparlavano del prossimo come donne già fatte. Il padroncino di Paska, sempre mingherlino, col visuccio pallido affondato in un colletto di pelo, camminava a fianco della ragazza: e dietro il cagnolino nero, col suo campanellino, col collare che pareva d’oro.
Il crepuscolo invernale era freddo e luminoso; la luna piena sorgeva dall’Orthobene, sospesa come un’enorme perla sul tenero azzurro del cielo, e spandeva un riflesso d’acqua sul lastrico bagnato del Corso.
Zia Bisaccia attraversò le strade col suo fiero passo da cavalla indomita: borbottava fra sè con infinito disprezzo mille ingiurie contro i signori e le signore, e specialmente contro le serve che passeggiavano sfacciate e sfaccendate. Finalmente vide chi cercava.
— Sss.... — soffiò, traendo un dito fuor della tunica incrociata sul petto.
— Cosa volete? — chiese Paska avvicinandosi sorpresa.
— Voglio te. Vuoi venire un momento a casa mia? C’è una persona che vuol parlarti.