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bruciava; gridare, urlare, implorare, in modo da riempire il mondo delle sue grida. Mai aveva pensato a sua madre e guardato il suo villaggio come adesso pensava a Paska, come adesso guardava verso Nuoro grigia fra la nebbia.
E passò l’ottobre e passò il novembre. Nulla di nuovo all’ovile, tranne una sera in cui giunse un giovinotto paesano, ben vestito, leggiadro e roseo in viso come una donna. Era uno dei figli di zia Bisaccia.
— Salute! — gli disse Melchiorre. — Che buon vento ti porta qui?
L’altro rispose ridendo che lo accusavano d’aver rubato un bue.
— E piuttosto che andarmene al servizio del Re, come i miei fratelli, preferisco passeggiare in campagna.
— Ma l’hai rubato, il bue?
— Macchè!
— Allora, — osservò zio Pietro, — sarebbe meglio costituirti. Si dilucideranno meglio le cose.
— Andate! Andate! Non voglio morir di fame, quest’inverno; perchè, sapete, là dentro danno una scodellina d’acqua con olio e due patate, e un pane. Un pane solo al giorno, capite? Così il Re