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brava a un tratto preso da una misteriosa sofferenza: la febbre gli serpeggiava nel sangue, dandogli un malessere nervoso che a volte lo faceva correre, ridere, saltare e gridare dietro le capre; a volte lo gettava in un cupo torpore da cui nulla valeva a scuoterlo. Pareva stordito dal caldo, e invero gli ultimi giorni d’agosto furono afosi e snervanti: non una foglia si moveva e le roccie ardevano come blocchi di cenere e di brage: eppure in certe ore d’invincibile languore, Basilio si sdraiava al sole come un gatto, lungo disteso tra il fieno giallo e si assopiva in un’acre ebbrezza di calore.

Il bosco taceva, tacevano le campanelle delle capre meriggianti; il cielo era quasi fosco per i caldi vapori che salivano dal mare. In quelle ore di immobilità ardente le foglie degli elci avevano bagliori d’acciaio brunito, l’orizzonte sembrava coperto di cenere azzurrognola, e le erbe bionde così molli e lucenti nei dì sereni, pungevano come fili metallici. Basilio si levava affranto e indolenzito, con la voce rauca e la mente pervasa da visioni febbrili. Dopo il folle buonumore del mattino, verso sera diventava poltrone, ta-