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92 | il sigillo d'amore |
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Quella sera egli fu il più allegro compagnone della mensa: ci si sentiva oramai padrone; e il suo viso macerato dai mezzi digiuni di una giovinezza famelica, pareva quello di un Cristo risorto.
Anche il prevosto era allegro, di una sua muta allegria che ravvivava quella dei commensali come la luce delle lampade la letizia della mensa. La presenza alla sua tavola del giovine dottore lo rassicurava contro le sinistre profezie dell’altro: la corona di spine tornava ad essere di rose.
E in fondo alla sua gioia c'era qualche cosa di religioso; tanto che, quando l’allegria un po’ corrusca dei commensali minacciava di scoppiare malamente come le bottiglie a quei primi calori estivi, egli sollevava la coppa, la mostrava agli uni, la mostrava agli altri, con un segno di benedizione, poi la tracannava mormorando:
— Pax vobiscum!
Tutti ridevano. E fra le discussioni e gli scherzi, e l’inchinarsi delle bottiglie, e il gioco dei piatti e il fantastico sparire delle vivande, gli sguardi del dottore e della donna s’incrociavano a volo, si prendevano e si lasciavano, come passeri sopra un albero carico di frutti.