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La sedia 37


Quando ebbe indovinato con chi aveva da fare, mi salutò con un cenno del capo, come si usa coi dipendenti.

— Vuole?

— Vorrei passare, — dico io umilmente.

— Passi, passi pure, — concede lei, senza smuovere una sedia: e poichè mi vede incerta e candida, riprende con voce mutata: — Non le occorrono sedie per cucina? Sono magnifiche, guardi, (ne solleva una e la sbatte per terra). Durano eterne: e poi sono comode, provi a sedersi, provi.

Dà l’esempio lei, e a dire il vero ci si adagia così bene, col suo superbo sedere, che convince la nuova cliente ad imitarla. Provo dunque; e mai sedia al mondo, neppure quella vellutata e girevole del mio dentista, mi è parsa più comoda e fantastica: quel paesaggio di pietre smosse, di scavi, di case gialle sospese come sopra una frana, contemplato così di fronte, prende un aspetto diverso, nuovo, piacevole e riposante. Mi pare di essere come in viaggio, quando d’improvviso il treno si ferma per un guasto alla macchina, e il paesaggio dapprima fuggente, che stordiva lo sguardo, si cristallizza come dipinto sul cielo in un misterioso sfondo di silenzio.

La gratitudine per questa gradevole impressione e anche la fantastica idea che la sedia, messa sulla mia terrazza al posto della banale