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Mattino di giugno 293

non si lascia illudere; e quando il caffè tenta di salire fino ad evadere dalla cuccuma, ella lo ricaccia dentro col cucchiaino, rimescolandolo fino a placarlo, pronta anche a sollevare il recipiente col pericolo di scottarsi.

Tutte le faccende vanno fatte così, fuori e dentro di noi: ella lo sa, e forse ha imparato dalle dure lezioni della vita ad eseguire le cose più semplici con attenzione e rischio di sè stessi.

Del resto ella sente una certa poesia anche nei colori della cucina, e più che poesia un senso pittorico, forse perchè da fanciulla dipingeva fiori e nature morte, e faceva dei versi: tutta roba cancellata dalla gelida spugna dell’esistenza quotidiana.

Così, il grido dell’erbivendolo giù nella strada le dà l’impressione dei verdi orti con lo scintillio nero della terra irrigata e le macchie sanguinanti dei pomidoro: e il coscio d’agnello del quale ella taglia senza pietà il garretto e il tendine sopra il ginocchio, per collocarlo meglio nella teglia d’arrosto, le ricorda i prati bianchi di margherite e la macchia rotonda del gregge così immobile che da lontano sembra una piazza polverosa.

La teglia ben preparata è messa dentro il forno, e in breve si sente un lamentìo, poi una cantilena come di gente che preghi col solo soffio del suo cuore. Forse è l’offerta dell’agnello