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286 | il sigillo d'amore |
cominciato a leggere, a leggere, di giorno e di notte, chilometri e chilometri di pagine, in una corsa pazza nel mondo dell’impossibile. Anche libri di scienze, leggevo: volevo sapere, volevo spiegarmi il mistero di questa nostra vita senza meta e senza scopo. E la lettura riempiva in qualche modo il vuoto che era non fuori ma dentro di me. Allora mi riprese l’antica passione. Pensavo sempre al mio primo fidanzato. Albino è buono, è santo, ma è la realtà fatta persona; quell’altro era il sogno, l’amore, la fanciullezza perduta. E ho voluto rivederlo. Lassù. Aveva moglie e figli. Era grasso e invecchiato, con gli occhiali sporchi. Non mi guardò neppure. Ritornai giù più disperata di prima: Albino, povera creatura, faceva di tutto per distrarmi: i suoi guadagni se ne andavano per me. Io avevo già il verme nel cervello: gli occhi mi si offuscavano. Dovetti smettere di leggere, e questo fu l’ultimo crollo. D’altronde neppure i libri m’interessano più. Tutto è vuoto d’intorno a me, tutto è vuoto d’intorno a me, tutto è vuoto....
— Abbiamo capito, signora, — dice il grande dottore, strizzando gli occhi con una certa malizia. E d’improvviso si solleva, ancora più imponente, ed anche sulla sua testa ferina i grandi capelli d’argento pare si gonfino come le piume di un’aquila in collera. Eppure egli non è sdegnato: anzi sembra sul punto di ri-