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284 | il sigillo d'amore |
suono delle campane. Dunque; ah, sì; sognavo un principe: e invece mi domandò in matrimonio il veterinario. Era un bel giovane, alto, forte, che curava le bestie con affetto paterno: anche gli uccelli feriti, curava, anche i conigli e, mi ricordo, una volta, anche una tartaruga che noi si aveva nell’orto ed era caduta da un muraglione. Era buono, con due occhi che sembravano due margherite brune. Mi piaceva, adesso posso dirlo anche davanti a te, Albino; gli ho corrisposto in segreto; ma quando si trattò di sposarmi non ho voluto più saperne. Mi vergognavo di lui, della sua posizione, del mio e del suo amore. Poi sei venuto tu, Albino: ti ricordi, Albino?
— Parla col dottore, — ammonisce rassegnatamente il martire.
— Mio marito è ingegnere ferroviario: era capitato lassù quando si costruiva la linea: ci si incontrò, e la sola possibilità di andar via con lui, e la speranza di un avvenire luminoso, me lo fecero apparire subito come un inviato da Dio.
— O dal diavolo, via! — brontola il martire, con un sorriso nero.
— No, Albino, no, — comincia a spasimare lei, tremando e sussultando tutta come un’acqua ferma dentro la quale si buttano sassi, — non parlare così. Zitto, zitto! Zitti tutti! Non mi date contro, non mi perseguitate.