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ACQUAFORTE.
Eri venuta ospite nostra una notte d’inverno, e delle notti d’inverno avevi il nero splendore. Solo un latteo chiarore circondava la tua grande pupilla, e quando il giorno era limpido, piegando da un lato e da altro la testa, tu fissavi il cielo or con l’uno or con l’altro dei tuoi occhi, quasi per riattingervi e rinnovarvi la luce.
Il tuo grido era allora di gioia: un grido boschivo che ricordava la serenità ombrosa delle foreste sui monti, e pareva rispondere a un lontano grido di gioia da noi non sentito.
Ma quando il tempo era scuro il tuo gracchiare selvaggio accompagnava la corsa insensata delle nuvole, lottava con l’assalto feroce del vento, e pareva una protesta contro l’uomo che ti aveva preso dal nido e mutilato le ali e la coda, riducendoti come una barca senza remi e senza timone, per renderti meglio prigio-