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Lo spirito dentro la capanna 247

giurai di andarsene: di andarsene subito. Avevamo finito appena di scambiare qualche parola quando un’ombra grande e nera apparve sotto i pini: io vedo ancora brillare come un occhio di fuoco, sento ancora un rimbombo come se mi spaccassero la testa con una scure, e vedo il piccolo Giuliano cadere lungo davanti a me con le braccia aperte come un ragazzo che corre stordito e inciampa e cade. Pazza di paura mi metto a correre ed a gridare:

— Hai ammazzato un cristiano: hai ammazzato il tuo fratello. — Perchè sapevo bene ch’era stato lui, mio marito, a sparare. Era stato lui, sì; l’ombra nera sotto il pino era lui. Quando mi sentì gridare parve ritornare in sè: non mi disse una parola, e neppure rispose alle invettive che io, rassicurata per conto mio, gli rivolsi piangendo. — Che hai fatto, gli dicevo, sciagurato che altro non sei? Adesso non ti resta che trascinare il cadavere fino al mare e buttarvelo con un macigno legato al collo. Altrimenti andrai in galera, per tutta la tua vita, come andrai all’inferno nell’altra.

Egli taceva; anzi chinava la testa e trascinava il fucile per terra come non avesse più neppure la forza di reggerlo: tornati quassù io mi buttai a sedere in questo punto preciso e continuai a piangere e lamentarmi. L’hai fatta la bevuta, stanotte, dicevo a me stessa; va là che l’hai fatta buona la bevuta, stanotte,