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242 | il sigillo d'amore |
va una figura strana alta e magrissima, un viso dorato di zingara e pure di zingara due treccioline che le scappavano dal fazzoletto nero, con le cocche del quale ogni tanto ella si asciugava gli occhi: provai quindi nuovamente l’impressione che la capanna racchiudesse la tomba di qualche selvaggio.
Il più strano fu, poi, che la donna, finiti i suoi sospiri e le sue preghiere, deposto il mazzolino davanti alla porta, venne a sedersi poco discosto da me, e tratto da una tasca di sotto la larga sottana un involtino, cominciò a far merenda. E mangiava con gusto, piano piano, rosicchiando golosamente, come fanno i bambini quando non hanno molta fame, la sua pagnottina imbottita di prosciutto: per il piacere del pasto si colorì in viso e divenne bella. Quando ebbe finito scosse le briciole dalla veste, fece un batuffolo della carta dalla quale aveva tolto la merenda e se lo ricacciò in tasca; poi si volse a me, fissandomi coi suoi vivi occhi azzurri, e disse nel dialetto del paese:
— Adesso ci vorrebbe un bel bicchiere di acqua.