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vento, che lentamente finiva di staccarsi dalla pianta. E sedetti lì accanto, sull’orlo del ripiano erboso, pensando che del resto anche gli alberi hanno i loro drammi, e che quel ramo agonizzante, giovane ancora, ancora carico dei suoi frutti di rame cesellato, soffriva fino a trovare un suono quasi di voce umana per esalare il suo dolore.


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La pineta era molto frequentata: per le vene dei suoi sentieri come nelle strade di un paese passava continuamente gente. Oltre le comitive in gita di piacere, coi relativi cestini e le macchine fotografiche, passavano donne con carretti a mano colmi di sterpi, operai che lavoravano alle bonifiche di là dalla pineta, e ragazzi, ragazzi, ragazzi. Questi anzi parevano una popolazione fissa del luogo, e certo ne conoscevano tutti i meandri. I loro stridi si confondevano con quelli delle cornacchie grigie, e il tonfo delle pigne e dei sassi che le facevano cadere risonava continuo e regolare.

Fu ad uno di questi ragazzi che domandai che ci stava a fare sull’altura in vista al mare la capanna nera e chiusa come un sepolcro di selvaggi.