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Il tesoro degli zingari 189

facevano sonnecchiare. Sogni terribili le finivano di succhiare il sangue.

E la mattina presto, quando il canto del gallo le faceva intravedere il rosseggiare dorato del cielo, e gli zingari si alzavano uno dopo l’altro, tutti, anche i più piccoli, e si sentivano tossire, ridere e starnutare, intorno ai fuochi che fuori le donne accendevano; e lei sola rimaneva nel suo giaciglio, straccio fra gli stracci, e la pelle d’orso che la copriva, puzzava e pesava come ancora grave del corpo della bestia, una tristezza senza conforto le invecchiava l’anima e il viso. In fondo però la speranza non l’abbandonava. Solo una mattina provò un primo senso di disperazione. Era il lunedì dopo Pasqua: svegliandosi dopo una notte più febbrile delle altre, ella sentì qualche cosa di insolito fuori nell’aria e nel recinto della tribù, e nel crepuscolo stesso della capanna dove i suoi parenti giù si agitavano e qualcuno anche mangiava e beveva. La pelle d’orso le pareva più pesante del solito, più repugnante e paurosa, come fosse l’orso vivo; mentre la polvere sollevata dalla madre nel pulire il pavimento con uno straccio le ricordava quella delle strade nei caldi giorni di estate e di gioia.

D’un tratto si mise a piangere infantilmente. La madre, che era la sola a curarsi di lei, e non troppo, le fu sopra, spaurita. Da quando era malata, Madlen non aveva mai pianto: ades-