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12 | il sigillo d’amore |
agili e forti capaci di camminare, senza mai stancarsi, fino ai limiti della terra.
Dall’alto di un piccolo cavallo baio legnoso e pensieroso, simile, nelle forme arcaiche, a quelli decorativi delle cassepanche e degli antichi ricami sardi, ho viaggiato mezza Sardegna, e veduto i più bei paesaggi che la mia memoria ricordi.
Accusata di avere, nei miei racconti, sciupato troppo colore e troppa vernice per questi paesaggi, ho voluto rivederli nell’età in cui la fanciullezza non fa più belle della realtà le nostre visioni esterne colorandole del suo divino splendore interno: riveduti dalle impazienti automobili che adesso palpitano nelle vene stradali dell’isola e le riempiono di vita nuova, li ho trovati ancora più belli, nella loro immota e sacra solitudine che vive di sè stessa e pare anzi si rattristi quando viene turbata.
Ricordo sempre il misterioso suono dell’eco che rispondeva alle nostre voci quando costeggiando il monte Orthobene si scendeva al bianco villaggio d’Oliena: era una voce potente, cavernosa, che pareva scaturisse davvero dalle grandi roccie simili alle rovine enormi di una città titanica; e ripetesse sdegnata le vane parole di noi piccoli sopravvissuti ad un’epoca in cui l’uomo anche nelle sue costruzioni materiali tentava di vincere il tempo e avvicinarsi al cielo.