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170 | il sigillo d'amore |
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Nel pomeriggio telefonarono dalla clinica: Fedele stava meglio e desiderava vedermi. Dio sia lodato; sì, durante tutta la giornata mi ero sentita serena, con l’impressione che una gioia, invece che un dolore, dovesse attendermi. E quello stesso desiderio di Fedele, che durante le mie visite s’era mostrato indifferente e quasi infastidito di me, mi confortava.
Egli stava ancora seduto sul letto, e questa volta i suoi occhi mi vennero incontro, ma opachi, quasi neri, con già dentro l’ombra del mistero: e fin dalla soglia sentii l’affanno che egli non reprimeva più. Pareva avesse corso a lungo, follemente. Mi ritornò l’immagine di lui ragazzo e la mia paura e il sollievo della sua voce.
Sedetti al solito posto: il piccolo spazio fra me e il letto mi dava un senso di angoscia, come un abisso. L’infermiera stava dall’altro lato, ferma, in attesa, quasi pronta a raccogliere e portar via l’anima che come un fiore stava per sbocciare sulla bocca del morente.
Ma egli forse voleva che altri cogliesse e portasse via questo fiore, perchè allungò la