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Piccolina | 169 |
giorno, come aveva minacciato di fare, non ci si sarebbe separati lo stesso?
Compro dunque i fiori per me; rientrando a casa sento Lauretta che canta una canzone d’amore e la cornacchia che imitando il grido del cuculo si crea forse d’intorno l’illusione della foresta in primavera. Tutti si cerca la gioia dove meglio si può.
Fedele non aveva parenti. Figlio illegittimo di un’antica cameriera di casa nostra, che si era illusa di poterlo far studiare, dopo la morte di lei, rimasto solo e senza mezzi, anche lui era entrato al nostro servizio. Aveva qualche anno più di me. Ricordo che un giorno mentre la madre mi sorvegliava, bambina, in un giardino pubblico, egli era arrivato di corsa, con altri ragazzi, e che tutti assieme, tumultuosi e violenti, mi avevano destato un senso di paura. Aggrappata alla donna tremavo tutta, finchè lei non chiamò Fedele accanto a noi.
— Vedi, non è niente, sono bambini che giocano. Fedele, sta un po’ tranquillo.
Egli aveva messo una mano sulla mia spalla: ansava per la corsa e la lotta coi compagni, ma la voce era buona, dolce.
— Ma no, piccolina, perchè devi aver paura?