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con lei, parlandole infantilmente. Le racconto la mia visita al suo amico, le confido le mie speranze e i miei timori: essa becca nel mio piatto e beve nel mio bicchiere, tentando poi di rovesciarlo: non le importa nulla di quanto le dico; è piuttosto curiosa di sapere che cosa contengono gl’involtini da me deposti sulla mensa, e tenta di slegarli; si diverte col tappo della bottiglia e s’impunta a forarlo col becco: si allunga tutta verso la lampada, guardandola bene in giro, e tende l’orecchio al battito eguale della pendola: quando io verso l’acqua nel bicchiere lei introduce il becco nel collo della bottiglia e beve; forse ricorda la sorgente nel bosco: tutto la interessa fuori che le mie inquietudini. Eppure io non mi sento più sola, con lei, e la sua compagnia basta per attenuare la mia tristezza.


*


L’infermiera, nonostante la buona mancia, anzi avendola già ricevuta, non telefonava: ed io non domandavo notizie per orgoglio. Orgoglio di che? Di tutto e di nulla. Si può sapere chi è superiore e inferiore a noi? Noi stessi: ed è di fronte a noi stessi che noi ci si umilia e ci si esalta. Verso sera tornò Lauretta e mi do-