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158 | il sigillo d'amore |
Solo dopo che la comunicazione fu tolta mi parve di aver dimenticato di dirgli qualche cosa. Ah, la cornacchia. Ne ebbi rimorso, e fui per riattaccare discorso: ma di nuovo quel senso di distanza che era fra noi, — poichè speravo ch’egli guarisse e tornasse, — mi allontanò da lui.
La mattina dopo andai a trovarlo.
Era una clinica quasi di lusso, quella dove egli si rifugiava, quieta e circondata di giardini: una specie di pensione per malati, la presenza dei quali non si sarebbe avvertita senza il passare silenzioso delle infermiere vestite di candidissimi camici, e quell’odore lugubre di disinfettanti che desta il pensiero della morte.
Ed io recriminavo ancora una volta i gusti spenderecci di Fedele, che accumulava i suoi risparmi e poi li buttava via in un momento, quando pensai che forse era entrato in quel luogo con la certezza di starci poco....
L’infermiera che mi condusse da lui rispose con una smorfia d’indifferenza alle mie domande: pareva non sapesse, o neppure si curasse di sapere di che malattia si trattava.
La prima cosa che mi colpì, entrando nella cameretta dov’ella m’introdusse, fu un pesco fiorito che rosseggiava sullo sfondo della finestra grande quanto la parete. Da quanto tempo io non vedevo un pesco fiorito! Tutta la mia fanciullezza mi riapparve lì; e nello stesso