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156 | il sigillo d'amore |
città fangosa che per contrasto pareva rumoreggiasse più del solito, ma di rumori meccanici, come una grande macchina in rotazione.
Anche il silenzio della mia casa veniva interrotto da squilli frequenti. Il telefono era in contatto con quello di un ufficio d’avvocato, e tutto il corridoio tremava per le incessanti chiamate. D’altronde non volevo togliere la comunicazione in attesa di notizie di Fedele.
A questa continua vibrazione metallica rispondeva quella dei miei nervi scossi: mai mi ero sentita più sola e senza aiuto in mezzo alla grande città ove pure gli uomini possono comunicare fra di loro anche senza muoversi dalla loro camera, e gli uni sono legati agli altri dai fili infrangibili della civiltà: a me pareva di essere entro una rete, come gli uccelli nei giardini zoologici, segregata oramai dall’umanità. E l’ombra della morte che minacciava il servo si allungava fino a me, si stendeva su tutta la casa coi veli neri della notte.
Accesi tutte le lampade: ma sotto quella luce anch’essa fredda e senz’anima la casa mi parve ancora più funebre: era come una casa rimessa in ordine dopo che vi è stato portato via un morto. E quel morto, lo sentivo bene, era tutto il mio passato.