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rianimò. Beccò, senza avidità, anzi quasi svogliatamente i granellini di pasta che le porgevo nel cavo della mano, scegliendo quelli più piccoli che si nascondevano fra le mie dita, e rifiutò di bere. Ad ogni granellino che ingoiava sollevava la testa e mi guardava. Pareva volesse dirmi: lo faccio per compiacerti, ma desidero sapere che cosa vuoi da me.

Il contatto del suo becco quando frugava fra le mie dita mi faceva piacere. Ecco, pensavo, potrebbe beccarmi e strapparmi la pelle e invece pare mi accarezzi: dunque mi vuole già bene.

— Piccolina, — le dissi, parlandole come si fa coi bambini. — È vero che mi vuoi bene? Siamo tutte e due sole, disarmate e lontane dal mondo: sole sole peggio che nella foresta. Piccolina, vuoi darmi un bacio?

Sorridevo di me stessa e sentivo di essere un po’ rimbambita; e non scambiai certo per un bacio la lievissima beccata che Piccolina mi diede al labbro inferiore, ma la scambiai per un segno di intelligenza o almeno di simpatia.

— Andiamo, — le dico porgendo il braccio, — tu sei curiosa e voglio soddisfarti. Voglio farti visitare tutta la casa. — Lei mise una dopo l’altra le sue zampe sul mio braccio e si lasciò condurre. — Cominciamo di qui, dalla sala da pranzo.

La sala da pranzo era la stanza più simpa-