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mi diceva che costavano poco. Insomma tornava il bel tempo, e il mio cuore non si era, ancora tanto indurito da non risentirne una certa gioia.

La domenica seguente a quel giorno dello scontro in cucina, Fedele, che aveva il diritto di alcune ore di libertà, uscì appena ebbe rigovernato. Non disse dove andava: io avevo sempre l’impressione che si cercasse un nuovo servizio, ma nel frattempo non osavo chiedergli nulla. Si era quindi più che mai in armistizio.

Anche quel giorno soffiava il vento, ed io non sentivo desiderio di uscire: mi annoiavo però: le giornate si erano tristemente allungate, e fin lassù, nonostante il vento, si sentiva la città rumorosa insolitamente sfaccendata, la esasperante città domenicale.

Dopo aver fatto cento inutili cose, esco per caso nel corridoio, ed ecco vedo una strana creatura venirmi incontro confidenzialmente, anzi con una certa curiosità. Era la cornacchia. Fedele aveva dimenticato l’uscio della cucina aperto ed essa era scesa dal suo rifugio ed esplorava la casa. Non ebbi il coraggio di scacciarla: veduta così per terra era graziosa, quasi bella; rassomigliava a una pollastrina nera senza la cresta. Arrivata davanti a me cominciò a beccarmi la punta delle scarpe, poi ne tirò i lacci come volesse scioglierli: questo mi divertì. Feci alcuni passi e lei mi seguì coi suoi passetti