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138 | il sigillo d'amore |
l’uscio, e allungò il collo guardandomi fisso negli occhi con gli occhi severi. E d’un tratto, non so perchè, mi parve che la mia casa non fosse più così solitaria come un momento prima. Un essere misterioso l’abitava, incarnato in quell’uccello austero e silenzioso. Mi accostai per guardarlo meglio, tendendo però l’orecchio per paura che Fedele tornasse e mi sorprendesse in quell’atto. Anche la cornacchia, senza dimostrare sfiducia per me, tendeva il collo guardando lontano sopra la mia spalla, come scrutasse un pericolo ignoto: o forse vedeva il pericolo in me, e fingeva per salvarsi.
Infatti io avevo desiderio di prenderla e buttarla dalla finestra nel cortile. Nel cortile i ragazzi della portinaia avrebbero pensato loro a farne scempio: il pensiero però di destare la loro curiosità e le conseguenti chiacchiere mi trattenne. Tuttavia cercai di afferrare la cornacchia, ma dovetti ritirare la mano per evitare una beccata; tentai di prenderla di sorpresa, per di dietro; essa si volse subito, allungò il collo, mi beccò forte le dita. Sdegnata le diedi un colpo sulla testa: essa parve sghignazzare, oscillò sul bastoncino, cadde sbattendosi sul pavimento, si sollevò di scatto e cominciò a svolazzare qua e là come una farfalla ferita.
Allora pensai con terrore a Fedele, come s’egli fosse il padrone ed io la serva colpevole. Adesso, se ritorna e ci trova così! — pensavo