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136 | il sigillo d'amore |
tutti e due: e che l’uccellaccio, in fondo, ci univa più di prima, mettendo a prova il nostro egoismo e la nostra calcolata indifferenza reciproca.
Finito ch’egli ebbe di riordinare la camera, — e mi parve che lo facesse con più rapidità e accuratezza del solito, — vi entrai col proposito di vestirmi e uscire. Volevo andar di persona dalla direttrice dell’Agenzia: ma le finestre della mia camera davano una a levante e l’altra a mezzogiorno, e il vento vi batteva così forte che i vetri pareva dovessero spaccarsi. Io amo il vento, quando ne sono difesa, forse perchè il pensiero di affrontarlo all’aperto mi riempie di terrore. Aspettiamo dunque ancora, pensai; è ridicolo che io mi agiti così per una persona di servizio. Tanto più che Fedele mi dava il buon esempio: eseguiva le sue faccende con calma e silenzio, quasi ignorasse la mia presenza nella casa. La casa era abbastanza grande perchè servo e padrona non ci si incontrassero che nei momenti stabiliti: così, rientrando nello studio ritrovai sulla tavola i giornali e la posta, come venuti da per sè; e più tardi nella sala da pranzo la tavola apparecchiata e Fedele pronto a servirmi, zitto e silenzioso come un fantasma. Non ci si scambiò una parola, non uno sguardo. Solo quando venne a servirmi il caffè, egli mi domandò sottovoce:
— La signora oggi non va fuori?