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118 | il sigillo d’amore |
Al ricordo del marito, al quale lei nel suo pensiero, e quindi nelle sue espressioni, dà costantemente la qualifica di povero, sebbene sia un uomo aitante nella persona e con la borsa piena, il suo sentimento di vanità lusingata e un tantino perversa, si tinge di malumore.
— Non mi permetterà di andarci, no, — ella confida al biglietto giallo sul quale reclina la piccola testa che per il carico di trecce castanee pare grossa e sproporzionata al minuscolo corpo infantile. — Quando è che lui mi ha dato mai una soddisfazione? Adesso poi! Adesso che l’invito è solo per me, figuriamoci. Dirà magari che hanno sbagliato, o che si tratta di un pesce di aprile, o che ho intrigato e brigato io, per averlo. Proprio io, — aggiunse con tristezza: — io che non sono buona neppure a dire «la smetta, imbecille» se qualche scimunito mi segue per la strada. Ah, ma che sia stato quello? Che sia lui? Quel signore lungo vestito di nero, che l’altro giorno mi seguì fino al portone di casa? La faccia del giapponese ce l’aveva. Ma no, stupida, va a farti benedire, va.