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104 | il sigillo d’amore |
l’orecchio che all’assalto del cameriere s’era fatto rosso come insanguinato.
Del resto egli non diede alcun altro segno di turbamento: non si volse, non aprì bocca. Il cameriere adesso gli era passato davanti, senza lasciarlo, come girando di posizione intorno a una fortezza, e mentre continuava a gridargli vituperi, gli frugava con una mano le tasche. Ne trasse alcune paste, già un po’ schiacciate, e le buttò con rabbia per terra.
— Non per questo, sa, ma perchè lei dovrebbe vergognarsi. Si vergogni. Vada via, vada via, — urlò in ultimo, spingendolo fuori della porta — e si guardi bene dal lasciarsi rivedere.
E quando l’uomo se ne fu andato, senza mai volgere il viso per non farsi vedere dai pochi ch’eravamo dentro la pasticceria, il cameriere si asciugò la fronte congestionata, poi automaticamente si chinò a raccogliere le paste che rigettò più indietro, sotto il banco, come si trattasse di cosa sporca: infine si calmò e diede spiegazione di quello che già tutti avevamo capito:
— È tre giorni che viene qui, mangia, ruba e se ne va senza pagare.
Nessuno fiatava; eravamo tutti come colti da vergogna per il nostro simile, e ci si guardò anzi a vicenda, con un vago smarrimento, come se ciascuno di noi sospettasse nell’altro un compagno del disgraziato.